CLOWN • SCHNAPSIDEE
Produzione MAT-Movimenti Artistici Trasversali

ANTEPRIMA NAZIONALE
30 Settembre – 4 Ottobre 2025 ore 21, Chapiteau della Cittadella del Carnevale di Viareggio (prenotazioni biglietti 351 7496243)
CLOWN • SCHNAPSIDEE
da Heinrich Böll
adattamento drammaturgico JONATHAN BERTOLAI e IAN GUALDANI
regia JONATHAN BERTOLAI
con IAN GUALDANI
con la partecipazione di GIACOMO VEZZANI e le voci di ELSA BOSSI, WOODY NERI e JACOPO VENTURIERO
assistente alla regia SILVIA BENNETT
ambiente sonoro GIACOMO VEZZANI
disegno luci ORLANDO BOLOGNESI
oggetti di scena MATTEO RACITI
costumi LAURA BARTELLONI
foto di scena e diapositive MANUELA GIUSTO
film e lavorazioni 16mm a cura di Tiziano Doria e Samira Guadagnuolo –WARSHADFILM
produzione MAT – MOVIMENTI ARTISTICI TRASVERSALI
assistente alla produzione GIACOMO PECCHIA
con il contributo di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e Fondazione Banca del Monte di Lucca
con il Patrocinio del Comune di Viareggio e della Fondazione Carnevale di Viareggio
si ringraziano Ge.Ci.Te. /C.U.R.A. Umbria e Spazio Rossellini-Roma per il sostegno alla produzione
scarica qui il manifesto dello spettacolo
CLOWN • SCHNAPSIDEE nasce dall’incontro artistico tra l’attore e performer Ian Gualdani e il regista Jonathan Bertolai che, dopo aver collaborato in “CALIGOLA. underdog/upset”, tornano a lavorare insieme per realizzare l’adattamento teatrale del romanzo Opinioni di un Clown di Henrich Böll.
Il processo creativo si è sviluppato attraverso diverse fasi di ricerca in Residenza e ha portato alla costruzione di uno spettacolo ambientato in uno spazio metafisico, abitato da dispositivi analogici deputati al ricordo: diapositive, musicassette, proiezioni in pellicola…
E’ in questo habitat mentale che il protagonista Hans – un clown, interpretato da Ian Gualdani, ricompone alcuni avvenimenti della propria vita: prima la ferita ancora aperta dell’amore perduto con Maria, che è la lente attraverso cui Hans osserva l’ipocrisia della società; poi, dopo una lucida riflessione (ancora molto attuale) sullo stato dell’arte, arrivano i traumi di un’infanzia segnata dalla guerra e da una famiglia militarista. Infine, ancora sempre Maria, immaginata nella sua nuova quotidianità, tipicamente borghese e rassicurante, ma così diversa e lontana da lui.
Il viaggio nei ricordi ci rivela la sensibilità clownesca di Hans, le sue stranezze, la sua visione del mondo e le sue opinioni, affilate e spiazzanti. L’Hans portato in scena da Gualdani è dolcemente malinconico, buffo e fragile, ma anche critico, radicale e tagliente. La loquacità del protagonista del romanzo è qui bilanciata da una forte partitura fisica, fatta di numeri clowneschi che Hans ripete ossessivamente, quasi a esercitare la memoria del corpo.
I paesaggi sonori composti da Giacomo Vezzani amplificano il flusso delle telefonate e i momenti di avanspettacolo, sospesi tra interiorità e spettacolo clownesco. Le immagini sono affidate alla ricerca fotografica di Manuela Giusto (diapositive), al film in 16mm di Tiziano Doria e Samira Guadaguolo e, al disegno luci di Orlando Bolognesi.
NOTE DI REGIA
In una cultura ossessionata dall’exploit, dal funambolismo sociale e da una morale usa e getta, l’insensatezza delle scelte del Clown – la loro apparente controproduttività, la testarda coerenza – si rivela come gesto di possibile sovversione.
Emarginato e accusato di indossare una maschera, il Clown diventa paradossalmente l’unico testimone puro, straniante e necessario di una società malata nelle sue stesse dinamiche. La sua ferita coincide con quella di un’umanità che rimuove con indifferenza il proprio orrore. Per Hans, invece, questa rimozione è impossibile: egli resta imprigionato nel trauma e nella frammentarietà, segnato dalla scomparsa prematura della sorella, sacrificata a un’ideologia brutale e disumana.
Il progetto scenico si configura come un incendio esuberante di segni: dalla pantomima alle diapositive, dal film in pellicola alle audiocassette, dal sovrastimolo sonoro all’ipertrofia testuale. Tutto concorre a evocare la solitudine di Hans e il suo isolamento.
Lo spazio scenico è concepito come un archivio emotivo, una cabina di pilotaggio della memoria: un tappeto bullonato di gomma racchiude i marchingegni con cui Hans rielabora la propria storia – mangianastri, proiettore di diapositive, schermi, proiettore 16mm. È un macchinario che si consuma e si rigenera continuamente: camera di memoria, di risonanza, cellula viva della ricorsività.
Hans ha costruito una vita fuori dalla realtà, rifugiandosi nell’arte e rinascendo Clown. Ma la sua è una nascita dolorosa, generata dalle ceneri della guerra e dall’ipocrisia sociale. Hans rifiuta i compromessi: è radicale, disarmato, poetico e feroce. Ma è anche solo e inaccessibile. Forse è proprio questa, alla fine, la sua più grande tragedia.
Jonathan Bertolai
Pagina insta: @clown.schnapsidee
