MAT-Movimenti Artistici Trasversali APS

CLOWN • SCHNAPSIDEE

Produzione MAT-Movimenti Artistici Trasversali

 

ANTEPRIMA NAZIONALE Ottobre 2025, Viareggio

 

CLOWN • SCHNAPSIDEE

da Heinrich Böll

adattamento drammaturgico JONATHAN BERTOLAI e IAN GUALDANI

regia JONATHAN BERTOLAI

con IAN GUALDANI

con la partecipazione di GIACOMO VEZZANI e le voci di ELSA BOSSI, WOODY NERI e JACOPO VENTURIERO

assistente alla regia SILVIA BENNETT

ambiente sonoro GIACOMO VEZZANI

disegno luci ORLANDO BOLOGNESI

oggetti di scena MATTEO RACITI

costumi LAURA BARTELLONI

foto di scena e diapositive MANUELA GIUSTO

film e lavorazioni 16mm a cura di Tiziano Doria e Samira Guadagnuolo –WARSHADFILM

produzione MAT – MOVIMENTI ARTISTICI TRASVERSALI

assistente alla produzione GIACOMO PECCHIA

 Con il contributo di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e Fondazione Banca del Monte di Lucca

 

 

CLOWN • SCHNAPSIDEE è una spirale nelle memorie e nelle emozioni di Hans, che ha il retrogusto acido di un’ostentata depressione – in cui lui ammolla come in vasca: con la radio accesa, una tazza di caffè, tra l’acqua tiepida e le bolle di sapone.

È una discesa al fondo della disillusione: quando non si stringe più̀ niente e tutto pare evaporare, quando anche l’ultima moneta cade nel fango, quando il disprezzo per l’ipocrisia che ci circonda si fa insopportabile e ci si slancia in un’accusa goffa – presi da una immotivata sicurezza in sé. Con irriverenza incerta, sgangherata, oscillando tra sciatteria, alcolismo e auto commiserazione.

È un – ancora più giù, ancora più giù e sempre più in basso. Il fallimento abbracciato come rivolta incidentale: << sotto il livello del marciapiede, c’è sempre la fogna >>. Il grido spezzato, o forse buffo, di un fantasma pallido con il naso rosso: scruta nel cuore e ci conficca dentro la sua ultima confessione, prima di svanire tra la folla, o dietro il sipario.

Hans – un Clown, barcolla perennemente nella sua Weltanschauung, tra l’ironico e la malinconia, tra il lucido e lo spaesato: come se dovesse continuamente attingere dal suo repertorio artistico per vivere. Ha il capo fasciato grossolanamente, vittima di mal di testa cronico. È circondato da una quantità esosa di lattine in alluminio dalle quali beve, le svuota, le accartoccia, le lancia via. È trascurato: un paio di scarpe rotte, due reggicalze, la bocca ancora truccata, il cerone inizia a screpolarsi sul viso: << andai a letto senza neppure togliermi il trucco di volto >>.

In una cultura incentrata sull’exploit, sul funambolismo sociale e sulla morale usa e getta, l’insensatezza delle scelte del Clown – la loro contro produttività e testardo rigore – rappresentano un moto di possibile sovversione.

Nella sua marginalizzazione il Clown – pedissequamente accusato di indossare una maschera e di vivere una recita costante (sul palco e nella vita), finisce per diventare l’unico, puro e alieno testimone di una società incancrenita nelle proprie dinamiche, una cultura omertosa piagata da una sistematica stigmatizzazione e incasellata in binari secondo i quali è dovuto agire per farsi accettare ed essere inclusi.

La sua ferita è la ferita di un’umanità che con indifferenza scavalca il proprio orrore, la propria sopraffazione. Per Hans questo superamento non è possibile: lui rimane intrappolato nel trauma e nella frammentarietà. Il simulacro del fallimento umano è la scomparsa prematura della sorella, mandata a morire a difesa di un’ideologia tritacarne e brutale.

Il progetto si presenta come un esuberante incendio di segni (dalla pantomima alle diapositive, dal film in pellicola alle audiocassette, dal sovra stimolo sonoro all’ipertrofia testuale) che mira a convocare in scena l’avvilimento di Hans accentuando il suo isolamento.

Lo spazio scenico è l’archivio emotivo, la cabina di pilotaggio dalla quale accedere ai ricordi, scandagliarli, riordinarli in cerca di una serie di risposte a questioni insolvibili. Il pavimento dello spazio è un tappeto bullonato di gomma, all’interno del riquadro si trovano tutti i marchingegni con i quali il Clown rielabora la propria storia: mangianastri, proiettore per diapositive, schermi da proiezione, proiettore cinematografico 16 mm, un armadietto liso, la scatola di un vecchio gioco da tavolo.

Il proiettore per diapositive è la principale espressione della dissociazione della memoria. L’accavallarsi dei ricordi culmina con la proiezione di un filmato in 16 mm.

La drammaturgia sonora è il campionamento e la rielaborazione delle materie in scena: il proiettore, il nastro, la pellicola, le lattine, le suole delle scarpe da tip tap.

Un’altra componente fondante del lavoro sono i dialoghi telefonici che Hans riascolta in scena tramite un mangianastri.

Come in un loop ossessivo, ogni elemento rievoca il precedente e lo riscrive: la pellicola proietta il ricordo, il suono campiona la pellicola, il gesto si innesta al suono. Tutto si ripete, si consuma e si rigenera. È un macchinario che si autoalimenta: camera di memoria, camera di risonanza, cellula viva della ricorsività.

 

Pagina insta: @clown.schnapsidee

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