MAT-Movimenti Artistici Trasversali APS

La Morte

Produzione MAT-Movimenti Artistici Trasversali

LA MORTE

scritto da GIOVANNI TESTORI

progetto di e con IAN GUALDANI

panorama sonoro GIACOMO VEZZANI

con uno sguardo di ANTONIO LATELLA per BAT_BOTTEGA AMLETICA TESTORIANA 

costumi PINA MUTI

scenotecnica ADELE CAMMARATA

foto e video LUCA DEL PIA

illustrazione di GIULIO MELANI 

organizzazione MARIA LUCIA BIANCHI

produzione MAT-MOVIMENTI ARTISTICI TRASVERSALI per OPERA DEL ROSSO

con il sostegno di AMAT, COMUNE DI PESARO, CASA TESTORI e IL FUNARO 

si ringraziano EMANUELE MARCHETTI, GIACOMO DOMINICI e ROBERTO MONGATTI 

Sostenendosi drammaturgicamente all’omonimo e inedito atto unico (scritto e pubblicato da Giovanni Testori nel 1943 all’interno della rivista Pattuglia, seppure mai messo in scena sino ad ora), La Morte vuole essere un dispositivo autoptico tramite il quale sovraesporre l’impossibilità di assimilare la finitezza organica, una disamina estetica che smotta il dataismo per affondare nel cuore sanguinante
dell’inquietudine umana.
Il soggetto per Testori è “Un figlio che muore”. Essere figli (quindi generati) e morire sono tra le poche caratteristiche che si può dire accomunino ciascun essere. L’autore traspone testualmente il sopraggiungere della morte tramite la corruzione organica delle memorie del ragazzo. Nel delirio onirico le immagini e le impressioni appaiono in un palpito, si sfaldano, si deteriorano, poiché sono organiche, mutevoli e vive: “Ricordi quando andavamo giù al torrente? Tra le barche e a piedi
nudi… a piedi nudi risalivamo il corso dell’acqua, tra il folto delle piante. Correvamo cercando le fragole nell’umido. Mamma! Ho trovato una fragola… sono tutte avvizzite adesso, le fragole, sono diventate gialle”.

Come un domino si sbrogliano gli irrisolti, con l’ingresso da fuori scena della verità (nel testo affidata ad un’attrice, la signorina del pubblico). È interessante la volontà dell’autore di invocare la morte come dato esterno alla finzione del palco, ed instillare nel pubblico, anche solo per un istante, l’idea che la morte scenica sia stata effettiva. Testori tenta, con i mezzi e gli stilemi dell’epoca, di evocare la morte
in quanto dato e non in quanto rappresentazione. In questo adattamento si vuole tentare di raggiungere il medesimo risultato: sarà esposto un elemento organico in piena decomposizione. È l’ingresso in scena della morte come elemento reale, come putrefazione. In sala si disperde l’odore di cadaverina, come una coltellata nel ventre, l’insolvibile enigma dell’esistenza: “Un morto, sì, un morto. E a voi, cosa capiterà a voi domani?”

Nella messa in scena i piani si accavallano: l’interprete è uno solo ed attraversa compulsivamente le parole dell’autore tentando di avvinghiarsi alla loro straordinaria vitalità, immesso all’interno di un dispositivo che oscilla violentemente tra l’emersione lancinante di simboli (come sintetizzato da Feuerbach: simboli come ineluttabilità violenta, carnale, squarciante; non simboli come trasmissione
iconografica o moda) ed il dataismo (pensiero corrente, passivamente assunto, per il quale tutta l’esperienza umana è riproducibile e riconducibile ad un insieme di dati amministrabile digitalmente tramite algoritmo).
La volontà è di stratificare ulteriormente la già intricata matrioska di Testori, estendendone i sensi (mediante altri suoi testi come Gli Angeli dello Sterminio) verso una dimensione di annichilimento disperato, privato di speranze o divinità, riconducibile all’irreparabile frattura generazionale e culturale che stiamo vivendo. Affidiamo la nostra vita oltre la morte ad un disco compatto, le nostre memorie
sono sigillate dentro una serie di floppy disk, la non accettazione del morire si installa nell’avvenirismo religioso del digitale: la fede del nuovo millennio è che la macchina, l’informatica, possa abbattere la morte.

 

1 Febbraio 2024, Chiesa dell’Annunziata, Pesaro, in occasione del Festival Testori “La scena della parola”

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